Nel 2018 meno 29% rapine in banca

Nel 2018 le rapine in banca sono diminuite del 29,2%: nel 2017 erano 373 e l’anno scorso sono state “solo” 264. In netto calo anche il cosiddetto indice di rischio, ovvero il numero di rapine ogni 100 sportelli, passato da 1,4 a 1. Un trend positivo in atto da dieci anni, tanto che tra il 2007 e il 2018 le rapine allo sportello sono diminuite del 92%, passando dalle 3.364 del 2007 alle 264 del 2018. I numeri sono contenuti all’interno dell’indagine sulle rapine in banca nel 2018, condotta da Ossif, il Centro di ricerca Abi in materia di sicurezza.

In Sardegna e Valle d’Aosta nessuna rapina

Secondo Ossif il merito dei risultati positivi è anche il lavoro congiunto di banche e Forze dell’Ordine. E a quanto rileva l’indagine l’anno scorso in Sardegna e in Valle d’Aosta non è stato effettuato nessun “colpo in banca”, mentre sono diminuiti in Abruzzo (-28,6%, passati da 7 a 5), Calabria (-83,3%, da 6 a 1), Emilia Romagna (-57,1%, da 42 a 18), Lazio (-39,6%, da 53 a 32), Liguria (-40%, da 10 a 6), Lombardia (-33,3%, da 51 a 34), Marche (-22,2%, da 9 a 7), Piemonte (-47,1%, da 34 a 18), Puglia (-27,5%, da 51 a 37), Toscana (-17,9%, da 28 a 23), e Veneto (-42,9%, da 14 a 18).

Le Regioni dove le rapine sono aumentate

Sempre secondo l’indagine del Centro di ricerca Abi, i rapinatori hanno però continuato a derubare le banche in percentuale invariata nella regione Campania, dove sia nel 2017 sia nel 2018 sono state effettuate 30 rapine, in Friuli Venezia Giulia (1 rapina), e in Molise (1 rapina). Aumenti dei furti si sono invece verificati in Basilicata, passata da 2 a 4 rapine nel giro di un anno, Sicilia (con 30 rapine da 28), in Trentino Alto Adige (con 3 rapine da 0), e Umbria (con 6 rapine da 4).

Investimenti di oltre 600 milioni di euro per rendere le filiali più sicure

Le banche italiane investono ogni anno oltre 600 milioni di euro per rendere le proprie filiali più protette e sicure, adottando misure di protezione sempre più moderne ed efficaci, e formando i propri dipendenti. Anche attraverso la diffusione di un’apposita Guida alla sicurezza per gli operatori di sportello, realizzata da Ossif in collaborazione con il ministero dell’Interno e le Prefetture.

La Guida Antirapina, riferisce Adnkronos, è un punto di riferimento per chi opera ogni giorno nelle filiali bancarie, poiché fornisce una sorta di vademecum su come comportarsi durante le rapine, e contiene indicazioni utili per prevenirle. Nonché per agevolare il controllo del territorio e l’attività investigativa delle Forze dell’Ordine.

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Smartphone abbinati alle tariffe: quando l’acquisto a rate conviene (e anche tanto)

Si possono risparmiare fino a 245 euro sull’acquisto di uno smartphone comprandolo a rate insieme a un piano tariffario, offerto da tutti i maggiori provider. A decretare quanto questa sia una formula vantaggiosa è l’ultimo osservatorio SosTariffe.it.

Tagli sul prezzo fino al 30%

Comprare a rate, in abbinamento a un pacchetto di minuti, sms e GB, gli smartphone più in del momento consente di risparmiare fino al 30% sul costo del dispositivo. Le offerte dei principali operatori di telefonia mobile per acquistare gli apparecchi in abbinamento alle tariffe, infatti, talvolta si rivelano davvero convenienti. L’ultimo osservatorio ha posto a confronto il costo finale per portare a casa tre tra gli smartphone più richiesti e ricercati online: l’iPhone XR, il Samsung S10 e il Huawei P30.  L’ufficio studi del comparatore ha effettuato un raffronto tra i prezzi dei tre modelli “stand-alone”, cioè comprati da soli, e il costo finale per l’acquisto in abbinamento con alcune offerte mobili di TIM, H3G, Vodafone e Wind. Risultato: nella migliore ipotesi si possono mettere da parte fino a 245 euro (-30,69%).

iPhone XR: fino a 60 euro in meno con l’offerta

Tra gli ultimi e i più ambiti dispositivi di casa Apple, lanciato a settembre scorso, iPhone XR è uno dei device più ricercati sul web. In base alle rilevazioni SosTariffe.it, condotte durante il mese di aprile 2019, lo smartphone ha un prezzo medio di 899,99 euro se acquistato da solo. Con le offerte dei principali provider, invece, costa in media 839,52 euro. La formula di acquisto abbinato a rate consente cioè di mettere da parte circa 60 euro (con un risparmio pari al – 6,72%).

Samsung Galaxy S10: circa 213 euro in meno se a rate

La convenienza aumenta con il Samsung Galaxy S10. l modello, comprato nei negozi da solo, ha un costo medio di 929,99 euro. Chi approfitta di un’offerta per l’acquisto rateale può invece averlo a 717,02 euro. E’ quindi possibile risparmiare circa 213 euro (che corrispondono al -22,90%).

Huawei P30: con l’acquisto abbinato si risparmiano 245 euro

E’ lo smartphone che, in base ai dati dell’osservatorio, dà la massima soddisfazione in termini di risparmio. Il dispositivo di alta gamma della casa cinese è venduto, se acquistato con pagamento una tantum, dai provider a un prezzo medio di 799,99 euro. Ma il costo cala addirittura di 245 euro se si approfitta di un’offerta rateale, con un risparmio stimato del -30,69%.

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La Finlandia è il Paese più felice. Italia al 36° posto

Nella classifica dei 156 Paesi valutati in base alla percezione della felicità dei propri cittadini la Finlandia si conferma il Paese più felice del mondo. Almeno, secondo l’annuale World Happiness Report, che vede l’Italia al 36° posto, in netta salita rispetto al 47° dello scorso anno.

Dal 2005-2006 il rapporto analizza l’evoluzione dei livelli di felicità registrati nei 156 Paesi, e se risultano più i Paesi che hanno acquisito posizioni rispetto a quelli che le hanno perse, in generale il livello di felicità nel mondo negli ultimi anni è calato. È aumentato invece il livello di emozioni negative, come preoccupazione, tristezza e rabbia. Specialmente in Asia e Africa, ma più recentemente anche altrove.

La top ten dei Paesi più felici

Nella top ten della classifica si trovano una serie di conferme. Dopo la Finlandia, il podio è conquistato da Danimarca e Norvegia, alle quali seguono Islanda, Olanda, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada e Austria. Tra i 20 Paesi che hanno acquistato più posizioni rispetto ai dati 2005-2008, riporta Adnkronos, 10 si trovano in Europa centrale e orientale, 5 sono nell’Africa subsahariana e 3 in America Latina.

I 10 Paesi che registrano un declino più marcato sono invece quelli in cui si sono verificate  combinazioni di fattori economico-politici e sociali negativi. E i cali maggiori si registrano in Yemen, India, Siria, Botswana e Venezuela.

“Il modo in cui le comunità interagiscono tra loro ha effetti profondi sulla felicità nel mondo”

Il World Happiness Report quest’anno si concentra sulla relazione tra felicità e comunità, con uno speciale focus sulla tecnologia, le norme sociali, i conflitti e le azioni di governo che hanno condotto a tali cambiamenti. Uno dei capitoli del rapporto è dedicato a generosità e partecipazione degli individui nella società, per dimostrare quanto la partecipazione elettorale, i big data, l’uso di Internet e le dipendenze incidano sul livello di felicità percepito. “Il mondo sta cambiando molto velocemente – spiega John Helliwell co-autore del rapporto -. Il modo in cui le comunità interagiscono tra loro, nelle scuole, negli ambienti lavorativi, nei vicinati o nelle interazioni sui social media ha effetti profondi sulla felicità nel mondo”.

“Governi, comunità e aziende dovrebbero utilizzare questi indicatori”

“Il rapporto di quest’anno fornisce una serie di elementi che dovrebbero far riflettere su quanto le dipendenze stiano causando infelicità e depressione negli Stati Uniti – aggiunge Jeffrey Sachs, direttore del Sustainable Development Solutions Network -. Le dipendenze possono essere di vari tipi: dall’abuso di sostanze al gioco d’azzardo fino all’utilizzo incontrollato dei media digitali. L’uso compulsivo di sostanze e comportamenti di dipendenza stanno causando grave infelicità. I governi, le comunità e le aziende dovrebbero utilizzare questi indicatori per mettere in pratica nuove politiche finalizzate a superare queste fonti di infelicità”.

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Le competenze digitali più richieste, e il gender gap

Tra le competenze fondamentali per entrare e crescere nel mercato del lavoro oggi rientrano soprattutto quelle in ambito tecnologico e di coding, come la capacità di gestire le funzioni del pacchetto Microsoft Office, i social media, il web design, e il data analytics. E i settori industriali nei quali tali competenze risultano ancora più importanti sono il finance (93%), l’amministrazione (90%), il travel (85%) e la sanità (83%). Il 40% dei recruiter italiani però pensa che in Italia non vi siano abbastanza candidati con le giuste competenze digitali rispetto alle posizioni disponibili. E che in Italia esista un gender gap anche in relazione alle digital skill.

Per i recruiter italiani mancano candidati competenti

Secondo i recruiter italiani le competenze che oggi mancano maggiormente ai professionisti sono proprio quelle in ambito tecnologico e di coding (36%), le capacità di problem solving (31%), la creatività (30%), l’abilità di gestire i tempi di lavoro in maniera corretta (28%), le competenze nell’ambito del web design (28%), la capacità di collaborazione (27%) e il senso di leadership (26%). L’importanza di questo mix di hard e soft skill è confermata anche da una ricerca di LinkedIn dedicata alle competenze più richieste dalle aziende per il 2019. In particolare, la creatività, la collaborazione e il time management sono tra le 5 soft skill maggiormente richieste in ambito business.

Solo il 28% delle donne lavora con l’AI

Per quanto riguarda le digital skill il 45% dei responsabili HR italiani pensa che vi siano più candidati uomini dotati di queste competenze rispetto alle donne, mentre il 25% è convinto del contrario, ovvero, che siano più le donne a essere digitalmente preparate.

Di fatto però solo il 28% delle donne italiane sono impiegate negli ambiti lavorativi legati all’intelligenza artificiale, un settore indicato tra quelli a più alto potenziale di crescita da qui ai prossimi anni.

Manca una corretta formazione in ambito digitale

Si tratta quindi di un gap da colmare quanto prima. Non è un caso che la persistente disparità di genere nel nostro paese sia confermata anche dal recente Global Gender Gap Report del World Economic Forum, che posiziona l’Italia al 70° posto su 149 Paesi.

A oggi, quindi, c’è ancora molto da fare per raggiungere il traguardo di una corretta formazione in ambito digitale. E questo a partire della formazione primaria e secondaria, che dovrebbe preparare le nuove generazioni per il lavoro del prossimo futuro.

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L’Italia è al 9° posto per rischi online

L’Italia si posiziona al 9° posto per l’esposizione ai rischi online. Microsoft ha diffuso i risultati dell’edizione 2019 del Digital Civility Index, la ricerca che analizza le attitudini e le percezioni degli adolescenti (13-17) e degli adulti (18-74) rispetto all’educazione civica digitale e alla sicurezza online in 22 Paesi, Italia inclusa. In particolare, il 64,5% degli intervistati dichiara di essere stato vittima diretta, o di conoscere almeno un amico o familiare che ha vissuto l’esperienza di essere stato vittima di almeno uno dei tre principali rischi online, ovvero contatti indesiderati, fake news e cyberbullismo.

I tre rischi maggiori: contatti indesiderati, fake news e bullismo

In Italia, la tipologia di contatto indesiderato più comune, riscontrato dal 48% degli intervistati contro il 36% a livello globale, si verifica nel momento in cui una persona insiste nel voler socializzare con il suo interlocutore contro la sua volontà, riferisce Askanews. Ma è il fenomeno delle fake news a ricorrere in Italia con più probabilità rispetto al resto dell’Europa: il 62% degli italiani si imbatte infatti nelle notizie false contro il 57% a livello globale. E il bullismo non è da meno. Il 52% degli intervistati italiani contro il 51% nel mondo dichiara di aver ricevuto offese online, in particolare di essere stato definito con nomi denigratori.

Dal rischio virtuale a quello reale il passo è breve

Il 53% degli intervistati italiani ha incontrato di persona l’autore della minaccia e, nel 26% dei casi, le minacce sono state perpetrate da familiari e amici (+8% rispetto allo scorso anno).

Lo studio mette poi in luce anche le reazioni delle vittime dei rischi online. Se diminuisce la fiducia da parte delle vittime nelle persone sia online (48%) sia offline (34%) il 28% delle vittime di conseguenza riduce le attività su social media, blog e forum. Al contempo, cala rispetto allo scorso anno la volontà di compiere azioni positive dopo essere stati esposti ai rischi online. Diminuisce infatti del 2% l’inclinazione a trattare gli altri con rispetto e dignità e del 5% la propensione a utilizzare impostazioni di privacy più rigide sui social media.

Millennial e ragazze le categorie demografiche più colpite

I Millennial e le adolescenti sono le categorie demografiche che soffrono di più a causa dei rischi online, anche rispetto ai loro pari nel mondo: il 69% dei nati tra gli anni 80 e 90 e il 69% delle teenager dichiara infatti di provare molto disagio per questo tipo di esperienza

Dal Digital Civility Index inoltre emerge che il 44% dei teenager si rivolge ai propri genitori per chiedere aiuto (+2% rispetto alla media globale) a dimostrazione dell’efficacia delle campagne di sensibilizzazione da parte delle istituzioni e aziende sul tema

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Italiani inseparabili dall’auto. Ma poco attenti alla sicurezza

L’auto vince la sfida contro i mezzi pubblici. Quasi inseparabile per 6,5 italiani su 10, l’automobile è la più amata per spostarsi da circa 27 milioni di italiani, e nel lungo periodo si riduce il ricorso al trasporto pubblico. Questo uno dei dati che emerge dal rapporto Censis-Michelin sulle abitudini della mobilità in Italia, che inoltre attesta la poca fiducia nell’auto a guida automatica (un guidatore su due), e la scarsa attenzione alla sicurezza al volante. Secondo i dati della polizia stradale, si predica bene, ma si razzola malissimo.

Scende l’uso del trasporto pubblico

L’auto cresce ancora nella percentuale di chi preferisce l’auto ai mezzi pubblici. Se nel 2001 era utilizzata dal 57,4% degli italiani oggi la percentuale sale al 65,4%. Quanto al trasporto pubblico, ne fa uso il 4,4% degli italiani, un dato in calo del 20,3% dal 2001. Dal rapporto Censis-Michelin emerge inoltre che un pendolare in Italia percorre circa 28,8 km al giorno e impiega 57,5 minuti. E a percorrere le maggiori distanze sono le donne e gli anziani, i residenti nel Nordovest, e quelli dei piccoli Comuni. Viaggiare sicuri poi è il primo desiderio degli italiani che si spostano. Che prima della partenza controllano soprattutto i freni (71,7%), gli pneumatici (64,7%), l’olio del motore (36,2%), le cinture di sicurezza e l’airbag (30,1), l’acqua del radiatore (22%), il funzionamento delle luci (18,5%), la frizione (22%)

Più di 17.000 violazioni per gomme usurate o malridotte

Per quanto riguarda la sicurezza, però “Gli italiani predicano bene, ma razzolano malissimo”, afferma il direttore centrale della polizia stradale, ferroviaria Roberto Sgalla. Durante i controlli ordinari, riporta Ansa, nel 2018 la polizia stradale ha elevato 12.946 violazioni per guida con pneumatici inefficienti (con il battistrada usurato) e 4.311 violazioni per il battistrada con lesioni e tagli. Per il piano Vacanze sicure 2018, attuato fra il 20 aprile e il 31 maggio 2018, su circa 10mila veicoli controllati in 7 regioni, gli pneumatici sono risultati non conformi nel 24,72% dei casi.

Dati preoccupanti sulle attività illegali dei gommisti

Secondo il rapporto in Italia invecchia anche il parco auto, con un aumento dell’età media delle vetture controllate di 8 anni e 2 mesi. “Sono dati estremamente preoccupanti, l’utente guarda poco alla macchina – commenta Sgalla -. Abbiamo scoperto un mondo di illegalità che è terribile”, aggiunge il direttore a proposito della attività legate ai gommisti. In particolare, nel maggio 2018 la polizia stradale ha effettuato controlli straordinari su 279 attività: di queste 72 sono risultate irregolari (di cui 33 abusive), 27 le persone denunciate, 98 le sanzioni (72 amministrative e 27 penali), 166 gli pneumatici sequestrati, di cui 155 destinati alla vendita e 9 non omologati.

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Italia, segno meno alle performance ambientali

L’Italia rallenta sul fronte dello sviluppo delle rinnovabili, e non ha una politica climatica nazionale adeguata agli obiettivi di Parigi. Nel 2017 le emissioni sono diminuite solo dello 0,3% rispetto all’anno precedente, e appena del 17,7% rispetto al 1990. L’Italia quindi scende nella classifica delle performance ambientali del rapporto Germanwatch 2018, perdendo sette posizioni, e piazzandosi al 23° posto. Era al 16° nel 2017. Il rapporto, presentato alla conferenza Onu sul clima, misura le performance climatiche di 56 Paesi più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme contribuiscono al 90% delle emissioni globali.

Il podio resta vuoto, Svezia più virtuosa al 4° posto

Anche quest’anno nella classifica di Germanwatch 2018 il podio resta vuoto. Nessuno dei Paesi analizzati raggiunge infatti i risultati necessari a contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici, e supera la soglia critica di 1,5°C.

La Svezia, il Paese più virtuoso, si piazza perciò al 4° posto, segue il Marocco, grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili e a un’ambiziosa politica climatica. Tra i Paesi emergenti, riporta Adnkronos, l’India fa un importante passo in avanti posizionandosi all’11° posto, per le basse emissioni pro-capite e il considerevole sviluppo delle rinnovabili. E per la prima volta la Cina lascia le retrovie e raggiunge il centro della classifica (33°).

L’Unione Europea nel suo complesso fa un piccolo passo in avanti, e sale al 16° posto rispetto al 21° dello scorso anno. grazie a una politica climatica che ha l’obiettivo di raggiungere entro il 2050 zero emissioni nette.

L’America di Trump indietreggia in quasi tutti gli indicatori

Trend negativo per la Germania (27°), dovuto alla quota ancora considerevole del carbone nel mix energetico nazionale, la mancanza di decisioni sul suo phasing-out, e l’assenza di una strategia per la decarbonizzazione dei trasporti.

In fondo alla classifica si posizionano Arabia Saudita (60°) e Stati Uniti (59°), che con la presidenza di Donald Trump indietreggiano in quasi tutti gli indicatori.

Segnali positivi giungono però dall’Alleanza per il Clima, composta da oltre 3000 tra Stati, città, imprese nazionali e multinazionali, università e college americani, e al lavoro per mantenere gli impegni assunti a Parigi attraverso un’azione congiunta che bypassi l’amministrazione federale.

Il Climate Change Performance Index di Germanwatch

Il rapporto di Germanwatch è realizzato in collaborazione con CAN e NewClimate Institute e, per l’Italia, con Legambiente. Germanwatch misura le performance dei vari Paesi attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030.

Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle fonti rinnovabili sia dell’efficienza energetica, e per il restante 20% sulla politica climatica dei Paesi.

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Inps, reperibilità malattia: attenti a…

Malattia, reperibilità, visite mediche, esoneri… Negli ultimi tempi si è molto parlato di questo argomento. Già, perché il rischio di commettere errori, anche in buona fede, è davvero alto e può costare caro. Ecco perché l’INPS ha pubblicato sul suo sito alcuni utili chiarimenti, ripresi dall’agenzia AdnKronos.

Visite mediche di controllo domiciliari

Per l’esonero dalle visite mediche di controllo domiciliari “molti lavoratori stanno chiedendo ai propri medici curanti di apporre il codice ‘E’ nei certificati al fine di ottenere l’esenzione dal controllo” scrive l’Inps sul suo sito. Che precisa: “In primo luogo, che le norme non prevedono l’esonero dal controllo ma solo dalla reperibilità: questo significa che il controllo concordato è sempre possibile, come ben esplicitato nella circolare Inps 7 giugno 2016, n. 95”.

Esclusione, quando
”Il medico curante certificatore può applicare solo ed esclusivamente le ‘agevolazioni’ previste dai vigenti decreti quali uniche situazioni che escludono dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità” continua la nota sul sito. Queste situazioni sono contenute in due provvedimenti: nel decreto del ministero del Lavoro 11 gennaio 2016, per i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati (e riguardano patologie gravi che richiedono terapie salvavita; o stati patologici connessi alla situazione di invalidità riconosciuta pari o superiore al 67%); nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri 17 ottobre 2017 n. 206 per i dipendenti pubblici (e includono patologie gravi che richiedono terapie salvavita; causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all’ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della ‘Tabella A’ allegata al decreto del presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n. 834 o a patologie rientranti nella ‘Tabella E’ dello stesso decreto; e ancora, stati patologici connessi alla situazione di invalidità riconosciuta pari o superiore al 67%)”. Solo in questi casi, dice l’Istituto “la segnalazione da parte del curante deve essere apposta al momento della redazione del certificato e non può essere aggiunta ex post, proprio perché l’esonero è dalla reperibilità e non dal controllo”.
Il Codice E è per uso interno

Per quanto riguarda il ‘Codice E’ indicato nel messaggio 13 luglio 2015, n. 4752, è riservato “a esclusivo uso interno riservato ai medici Inps durante la disamina dei certificati pervenuti per esprimere le opportune decisionalità tecnico-professionali, secondo precise disposizioni centralmente impartite in merito alle malattie gravissime” spiega l’Inps. Quindi “qualsiasi eventuale annotazione nelle note di diagnosi della dizione ‘Codice E’ non può evidentemente produrre alcun effetto di esonero né dal controllo né dalla reperibilità, rimanendo possibile la predisposizione di visite mediche di controllo domiciliare sia a cura dei datori di lavoro che d’ufficio”.

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Certificazione digitale, nasce il primo polo europeo

La necessità di certificare l’identità dei clienti online è la sfida principale delle aziende impegnate nel processo di trasformazione digitale. Quando si stipulano accordi online è infatti necessario garantire la certezza delle identità delle parti, e assicurare il valore legale dei documenti sottoscritti durante un accordo. Occorrono quindi strumenti che sappiano conciliare la sicurezza e l’aderenza alla normativa con l’immediatezza e la praticità del mondo digitale.

Garantire la sicurezza delle transazioni commerciali in rete è proprio l’obiettivo del primo polo europeo per la certificazione digitale, nato dalla certification authority italiana InfoCert (Gruppo Tecnoinvestimenti), insieme a Camerfirma, una delle principali autorità di certificazione spagnole.

Un “campione europeo” del digital trust

Nell’era digitale, sia per chi opera a livello locale sia a livello internazionale, la sicurezza delle transazioni e delle comunicazioni è fondamentale. “Grazie all’ingresso in InfoCert Gruppo Tecnoinvestimenti – spiega Alfonso Carcasona, Managing Director di Camerfirma – le sinergie in infrastrutture, innovazione e sviluppo di nuovi prodotti e soluzioni si traducono in benefici tangibili per i nostri clienti attuali e potenziali”. Di sicurezza, mercato unico digitale e strumenti per la certificazione si è discusso a Madrid, nel corso del convegno dal titolo Costruendo il futuro digitale. Dove InfoCert ha dichiarato la propria ambizione a diventare “campione europeo” del digital trust.

Una rampa di lancio per l’espansione nei mercati di Francia, Belgio e Olanda.

La crescita di InfoCert è avvenuta attraverso una strategia di acquisizioni, che ha portato nel 2018 all’acquisizione di Camerfirma, e del 50% di Luxtrust, certification autority del Lussemburgo.

L’acquisizione di Camerfirma è stata la prima pietra miliare del percorso di sviluppo internazionale di InfoCert, cui ha fatto seguito il recente annuncio della sua joint venture paritetica con LuxTrust, il principale fornitore di Trust Services in Lussemburgo. Una vera e propria rampa di lancio per l’espansione di InfoCert nei mercati di Francia, Belgio e Olanda.

L’integrazione delle offerte permette una copertura di mercato più efficace

L’evento di Madrid ha consentito a Camerfirma e InfoCert di “presentarsi a una platea autorevole nel loro comune ruolo di fornitore europeo di servizi fiduciari, ma con solide radici istituzionali nel mercato nazionale spagnolo – dichiara Danilo Cattaneo, Amministratore Delegato di InfoCert Gruppo Tecnoinvestimenti -. L’integrazione delle nostre rispettive offerte ci permette una copertura di mercato più efficace, con servizi più ricchi e capaci di aiutare concretamente le organizzazioni pubbliche e private a rispondere al meglio alle sfide che le attendono”

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Reggio Emilia è la più social d’Italia

L’Emilia Romagna è la regione più social d’Italia, e Reggio Emilia la città che nel 2018 condivide con la regione questo primato per numero di canali attivi. Scalzata Torino, in testa nel 2017, Reggio Emilia quest’anno condivide il podio insieme ad altre due città emiliane, Bologna e Ferrara, rispettivamente, in seconda e terza posizione.

È quanto emerge dall’indagine di FPA, società del gruppo Digital360, sulla presenza, l’uso e la performance sui social network di 107 Comuni capoluogo di provincia. Ed è anche uno dei 100 indicatori contenuti nel Rapporto ICity Rate 2018, che verrà presentato il 17 ottobre a Firenze nel corso della manifestazione ICity Lab, insieme alla classifica delle città più smart e sostenibili d’Italia.

I numeri e i social di Reggio Emilia

 

“Siamo il Comune con il maggior numero di canali attivi e con un crescente numero di interazioni Questo significa che utilizziamo i social network non solo per informare e comunicare scelte, progetti, realizzazioni, servizi del Comune – commenta l’assessore all’Agenda digitale Valeria Montanari – ma anche per coinvolgere, interagire e dialogare con i nostri cittadini”.

L’Amministrazione Comunale ha esordito su Facebook nel 2009 e il profilo istituzionale a settembre 2018 conta, 32.986 “like”, mentre su Twitter (@ComuneRE) è presente dal 2011 e a oggi conta 9.551 follower. Su Instagram l’apertura del profilo @comunedireggioemilia è datata invece 2013 (a oggi 8.744 follower).

Telegram è il social più recente per l’Amministrazione, che nel 2016, ha sviluppato con una start up del territorio un bot (@ComuneREbot) al quale oggi si contano 1.866 cittadini iscritti, riporta la Gazzetta di Reggio.

Le più seguite sono Roma, Milano e Torino

A livello di follower, tuttavia, sono Roma, Milano e Torino a raccogliere più seguaci in assoluto su Facebook e Twitter. In base all’indagine di Fpa, Firenze spicca però per il numero di seguaci in rapporto al numero di abitanti. E il capoluogo della Toscana su Twitter è seguito da circa un quarto della popolazione (24,6%). Su Facebook invece Verbania, Crotone e Pesaro vantano un seguito, rispettivamente, del 41,5%, 36,9% e 34,5%, mentre Napoli, Cesena e Monza sono le città più attive su YouTube nell’ultimo anno, riferisce Ansa.

Il più amato è ancora Facebook

In generale il social più amato dalle città è ancora Facebook, scelto come canale di comunicazione da 82 comuni capoluogo (tre in meno rispetto al 2017). Seguono Twitter con 79 città presenti (73 lo scorso anno), YouTube con 71 (67 nella precedente rilevazione) e Instagram con 26, in crescita rispetto ai 21 del 2017.

Stabile, invece, l’uso di Google+ (15), mentre cala la presenza delle città su Flickr (da 15 a 13) e su Pinterest (da 5 a 4).

Ci sono poi alcuni comuni che hanno sperimentato canali inediti, come WhatsApp (Reggio Emilia, Bologna, Rimini, Siracusa e Ancona) e LinkedIn (Roma Capitale e Pavia).

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