Nome dell'autore: Marina Lo Cerchio

Nel 2022 creati 412mila posti di lavoro a tempo indeterminato 

Notizie positive sul fronte dell’occupazione. Il 2022 si chiude con un saldo positivo tra assunzioni e cessazioni (382mila unità), sebbene inferiore a quello del 2021 (602mila). Si tratta comunque di un risultato soddisfacente, se confrontato con il dato del 2019 (308mila), prima cioè dell’emergenza sanitaria. Questi dati sono contenuti nella nota congiunta di gennaio sul mercato del lavoro, a cura di Ministero del lavoro, Banca d’Italia e Anpal.

Stabile l’incremento della domanda di lavoro

L’incremento della domanda di lavoro è rimasto sostenuto fino all’inizio dell’estate, trainato soprattutto dal turismo, per poi rallentare a causa soprattutto dell’indebolimento del settore delle costruzioni. Nella manifattura le attivazioni nette sono state superiori a quelle del 2021: in questo settore la creazione dei posti di lavoro è proseguita a tassi sostanzialmente costanti anche negli ultimi due mesi dell’anno, nonostante il rallentamento nei comparti a maggiore intensità energetica.
Nel complesso è da segnalare il saldo positivo dei rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato sottoscritti nel 2022 (+412mila), che ha beneficiato del gran numero di trasformazioni determinate dal consolidamento della ripresa nella prima parte dell’anno, mentre è sostanzialmente stabile il saldo dei rapporti a termine (+23 mila) ed è diminuito il ricorso all’apprendistato (-53mila).

L’occupazione femminile cresce a ritmi minori

In un contesto tutto sommato positivo, ci sono però delle note dissonanti. In particolare quella riferita all’occupazione delle donne. Nel 2022 la crescita dell’occupazione femminile è stata inferiore a quella maschile: i saldi sono stati rispettivamente +152mila e +230mila unità. A dicembre l’incremento dell’occupazione femminile si è sostanzialmente arrestato.

Si conferma il divario fra Nord e Sud
Il diivario territoriale nord-sud non solo si conferma, ma addirittura si acutizza. Nel 2022 la crescita delle attivazioni nette si è concentrata nel centro-nord (+302mila) a un tasso ben più alto rispetto all’anno precedente: nel 2021 questo era infatti pari a circa il 68%, mentre nel 2022 è salito al 79%. Nelle regioni meridionali la fase espansiva si è interrotta una volta esaurita la spinta del comparto edile, che aveva contribuito alla crescita occupazionale del 2022 per circa il 30%. È proseguita anche nel 2022 (il dato è aggiornato a novembre) la diminuzione della disoccupazione, ma il trend ha subito un importante rallentamento: si è passati da -350 mila del 2021 a -120 mila del 2022.

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Podcast: quante e quali storie ascoltano gli italiani? 

Gli italiani amano sempre più ascoltare le storie con le cuffie, partecipando a un fenomeno globale che conta sempre più appassionati di contenuti audio. Tanto che secondo una ricerca interna di Audible nel 2022 sono state oltre 35 milioni le ore di contenuti ascoltate sulla piattaforma di proprietà Amazon.
Ma cosa, e come, scelgono di ascoltare, informarsi o distrarsi dalle preoccupazioni gli ascoltatori italiani? A descrivere le abitudini di ascolto è Audible Compass 2022, l’indagine internazionale realizzata da Kantar per conto di Audible, che conferma come l’ascolto per noi italiani sia ormai è un’abitudine consolidata. Il 65% degli intervistati segue infatti regolarmente serie audio, ascolta audiolibri o podcast.

Tra ricerca di relax e bisogno di evasione

Mossi sicuramente dal desiderio di intrattenersi, ma anche da quello di imparare qualcosa di nuovo, esattamente come per gli ascoltatori di tutto il mondo, per noi italiani c’è anche la ricerca del relax tra le principali ragioni di ascolto di contenuti audio (60%), oltre al bisogno di evadere dalle preoccupazioni quotidiane (65%) rifugiandosi tra le cuffie. C’è però anche un altro motivo che spinge sempre più italiani verso i contenuti audio, ed è la volontà di ridurre il cosiddetto ‘screen time’ giornaliero, indicato dal 61% degli intervistati (contro il 56% di media globale). Via, quindi, da smartphone, pc e tv, che portano a passare molto tempo davanti a uno schermo.

Un fedele compagno a casa e on the road

E se per il 64% degli intervistati la casa si conferma il luogo ideale per intrattenersi con i contenuti audio, le storie da ascoltare in cuffia si dimostrano anche fedeli compagne on the road (42%), in auto o sui mezzi pubblici, mentre ci si sposta da un luogo all’altro della città. Alcuni ascoltatori, però, non indicano un luogo o un’occasione preferita. Per il 29% l’audio-entertainment è un ottimo compagno durante tutta la giornata. Una tendenza nettamente più diffusa rispetto agli altri Paesi: la media globale è infatti del 13%.

Consumatori crossmediali a cui piace anche leggere

Ma chi ascolta un audiolibro non necessariamente non legge libri. Gli ascoltatori italiani sono consumatori crossmediali, e il 78% di loro ha letto anche un e-book o un libro nell’ultimo anno. L’apprezzamento per il formato digitale nasce piuttosto dal fatto che per l’83% degli intervistati consente di scoprire più libri nel corso dell’anno, sfruttando momenti in cui non si potrebbe leggere. L’ascolto dunque avvicina alle storie, ai libri, alle grandi voci e anche ai grandi classici. Sul podio dei fattori che spingono a preferire un contenuto a un altro rientrano infatti trama e argomento (82%), narratore coinvolgente (81%) o noto (53%), oltre, ovviamente, all’autore (69%). E se nel 2022 su Audible.it a dominare la classifica dei generi di audiolibri sono stati il fantasy, i classici e le saghe familiari, per quanto riguarda i podcast vincono il crime, l’investigazione, e ancora una volta, il fantasy.

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Bilancio energetico, a che punto è l’Italia?

Il bilancio energetico è oggi più che mai un tema strategico per ogni paese, e l’Italia non fa eccezione. Ma in che situazione si trova realmente, sotto questo aspetto, lo Stivale? A dare risposte concrete ci ha pensato Eurispes, che ha analizzato il bilancio energetico italiano al fine di descrivere i livelli di produzione e consumi energetici nel nostro paese. 

Criticità e punti di forza

Il report si apre con un’analisi delle diverse fonti di approvvigionamento (interne ed estere), dei livelli di consumi e delle differenti forme di produzione presenti sul territorio italiano. Dallo studio emerge come l’Italia sia ancora fortemente dipendete dall’estero dato che la disponibilità energetica lorda, un indicatore del grado di dipendenza del paese dall’estero, è aumentata passando dal 73,5% del 2020 al 74,9% del 2021. Si conferma inoltre il ruolo predominate giocato dai combustibili fossili, in particolare gas e petrolio, che nel 2021 hanno rappresentato oltre il 73% della disponibilità energetica nazionale (rispettivamente il 40,9% e il 32,9%). A questa prima parte segue un’analisi delle principali differenze a livello regionale in materia di produzione e consumi di energia. In questo contesto la ricerca si sofferma, da un lato, nell’analisi della produzione di energia elettrica da fonti energia rinnovabili e, dall’altro, sugli effetti della crisi energetica che hanno contribuito ad accrescere in maniera esponenziale il divario tra Nord e Sud nel Paese in relazione alla possibilità di accesso all’energia con conseguenze per tutto il Meridione in termini di sviluppo e crescita economica.

Le prospettive future

Con l’analisi delle prospettive di sviluppo futuro del settore energetico in Italia, si è cercato di comprendere l’impatto che determinate politiche potrebbero avere sia nel favorire il processo di decarbonizzazione della nostra economia, sia nel ridurre la dipendenza energetica dall’estero e, dunque, l’esposizione del nostro Paese a futuri shock energetici come quello a cui stiamo assistendo negli ultimi mesi a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. In relazione ai processi di decarbonizzazione del nostro sistema economico occorre sottolineare come in Italia, nel 2020, la quota di rinnovabili nel consumo finale di energia abbia raggiunto il 20,4%, rispetto ad un obiettivo del 17%. Particolarmente positivi sono stati i risultati raggiunti nella produzione di energia elettrica dato che il 38% dell’energia elettrica prodotta in Italia nel 2020 derivava da fonti rinnovabili. Quasi il 50% in più dell’obiettivo del 26% dichiarato per il 2020.

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Risparmio: gli italiani e le scelte finanziarie 

Gli italiani continuano a puntare sul risparmio: oggi la quota delle famiglie risparmiatrici supera il 53%, avvicinandosi ai livelli pre-pandemia, e cresce anche la percentuale di reddito risparmiata, che si attesta all’11,5% rispetto al 10,9% del 2021. Solo il 17% degli italiani però risparmia avendo in mente uno scopo preciso. Il 30% lo fa per ragioni puramente precauzionali. È quanto emerge da L’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani nel 2022, condotta da Doxa per Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi. Dal 1982 Doxa conduce infatti per conto del Centro Einaudi un’indagine per analizzare motivazioni, obiettivi e scelte di un campione rappresentativo di risparmiatori italiani.

Sicurezza, liquidità e valutazione del rischio

Secondo l’indagine, la sicurezza si conferma al primo posto tra le caratteristiche desiderate degli investimenti (57%), seguita dalla liquidità. Tra le maggiori preoccupazioni emerge invece la valutazione del rischio delle diverse soluzioni di investimento (53% circa). Persiste poi la tendenza a tenere disponibilità liquide in eccesso per motivi precauzionali. L’improvvisa accelerazione dell’inflazione contribuisce tuttavia a ridurre il grado di soddisfazione associato alla detenzione della liquidità. Cresce inoltre il gradimento per il risparmio gestito: almeno un prodotto è presente nel 21% dei portafogli del campione, sia pure con una marcata differenziazione a livello territoriale.

Meno obbligazioni, più investimenti in oro e fondi etici-ESG

Si riduce invece la quota investita in obbligazioni (dal 29% al 23% dei portafogli), mentre resta contenuta, sebbene in leggera crescita, la percentuale degli investitori in azioni (4,8%). Da segnalare anche il crescente interesse verso gli investimenti alternativi (39% del campione), in particolare l’oro (24,8%) e i fondi etici-ESG (13% circa, che sale oltre il 22% tra i laureati). Ma gli intervistati appaiono relativamente sereni sul proprio tenore di vita in età anziana. Si mantengono basse le adesioni alla previdenza integrativa (17,6% del campione), e ancora più contenuta risulta la diffusione di polizze LTC (14% circa). Appare quindi urgente promuovere una cultura assicurativa che faccia crescere la consapevolezza dei possibili rischi e delle soluzioni che il mercato può offrire.

Giovani poco informati e disinteressati a economia e finanza

Il focus dell’indagine sugli imprenditori fa emergere diversi segnali positivi. In risposta alla crisi, più del 35,7% ha innovato i propri prodotti, il 39,6% ha accelerato sul fronte della digitalizzazione, il 34,7% ha puntato sulla promozione online e il 23% sulle vendite online. Digitalizzazione e innovazione saranno gli assi portanti del rilancio, insieme alle relazioni di parternariato (33%) e agli investimenti nella formazione (31%). Preoccupa la debolezza dei giovani sul fronte dell’alfabetizzazione finanziaria e assicurativa. Solo il 2,3% infatti si dichiara molto interessato ai temi dell’economia e della finanza. E il tempo medio dedicato all’informazione su questi argomenti è di 17 minuti alla settimana.

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Bologna provincia top per qualità della vita 

È la provincia di Bologna nel 2022 ad aggiudicarsi la vetta della classifica sulla qualità della vita stilata dal Sole 24 Ore. È la quinta volta in 33 anni. Sul fondo Napoli, al 98° posto, in discesa di otto posizioni, e Palermo (88°, +7 posizioni). I 90 indicatori statistici alla base dell’indagine, di cui 40 aggiornati al 2022, presentano una serie di novità: due indicatori sull’inflazione, un pacchetto di indicatori su energia da fonti rinnovabili/riqualificazioni energetiche/consumi energetici, l’indice della partecipazione elettorale alle ultime elezioni politiche di settembre 2022, e nove indici sintetici che aggregano più parametri, come qualità della vita di giovani, bambini e anziani, qualità della vita delle donne, ecosistema urbano, indice della criminalità, indice di sportività, indice del clima, e iCityrank sulle città digitali.

Milano scende all’8° posto

Accanto a Bologna, seguita sul podio da Bolzano e Firenze, la classifica vede Parma al 9° posto e Reggio Emilia al 13°. Le province del Trentino Alto Adige restano salde nella top ten, con Bolzano al 2° e Trento al 5°. In Toscana sono tre le province presenti in cima alla classifica. Oltre a Firenze, le new entry Siena, al 4° posto (+11 posizioni), e Pisa (+12 posizioni) al 10°. Tra le città metropolitane, Milano, che nel 2021 era in seconda posizione, resta nella top ten, ma scende all’8° posto, Roma scivola al 31° (-18 posizioni), Cagliari sale di due posizioni (18°), Genova è al 27° (perde una posizione), e Torino al 40° (-12 posizioni).

Oristano, Pordenone e Sondrio sul podio per giustizia e sicurezza

Per quanto riguarda i sei ambiti in cui sono suddivisi i 90 indicatori, il podio per per ‘ricchezza e consumi’ spetta a Belluno, Bologna e Bolzano, per ‘affari e lavoro’ a Milano, Trieste e Roma, per ‘demografia salute e società’ a Bologna, Modena e Roma, per ‘ambiente e servizi’ a Pisa, Siena e Aosta, per ‘giustizia e sicurezza’ a Oristano, Pordenone e Sondrio, e per ‘cultura e tempo libero’ a Firenze, Trieste e Gorizia.

Monza e Brianza la provincia più “rosa” d’Italia

A offrire maggior benessere alle donne è la provincia di Monza e Brianza, seguita da Treviso e Cagliari riporta Adnkronos. A dare slancio alla provincia lombarda sono, in particolare, i dati relativi all’inserimento delle donne nel mondo del lavoro. Monza e Brianza registra il gap occupazione di genere più basso in Italia (7,1% contro il 19,4% della media nazionale), uno dei tassi di occupazione femminile più alti del Paese (69%), e il record di giornate retribuite a dipendenti donne (il 75,3% del massimo teorico). Inoltre, è terza dietro a Cagliari e Trento per speranza di vita delle donne, con 86,1 anni, circa quattro anni in più rispetto a Siracusa, ultima in questo indicatore.

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II 93% delle organizzazioni finanziarie italiane ha subito un cyberattacco 

Il 67% dei decision maker IT italiani appartenenti al settore finanziario considera ‘alto’ il rischio di un attacco informatico. Lo conferma una ricerca di Kaspersky dal titolo Sicurezza IT: focus sul settore finanziario in Italia. Secondo la ricerca il 93% dei decision maker IT del settore finanziario afferma che la propria organizzazione ha subito uno o più cyber attacchi o problemi di cybersecurity durante la pandemia. E il 60% dichiara che l’azienda per cui lavora ha dovuto affrontare attacchi ransomware e spyware. Inoltre, i dati mostrano che sono stati particolarmente diffusi anche attacchi di phishing e malware (58%).

Le grandi aziende sono le più protette dalle minacce informatiche

Nonostante l’elevato numero di minacce, l’84% dei decision maker IT pensa che la propria azienda disponga di tutti gli strumenti necessari per contrastare un attacco informatico, percentuali quasi identiche se si prendono in considerazione personale IT (87%) e dirigenti (85%). Questo senso di sicurezza viene percepito soprattutto dalla maggior parte delle aziende che contano oltre 1.000 dipendenti (86%). Secondo quanto dichiarato dagli intervistati queste realtà sono le più protette dalle minacce informatiche, e le più inclini ad affidarsi a un Disaster Recovery Plan (95%).

Nelle organizzazioni più piccole mancano le competenze interne adeguate

Più di nove intervistati su dieci (91%) hanno dichiarato di avere Disaster Recovery Plan / Business Continuity Plan regolarmente testati, percentuale che scende all’83% tra le organizzazioni più piccole (50-999 dipendenti). Il 26% sostiene però che manchino le competenze interne adeguate, dato che sale al 39% tra le piccole-medie imprese (250-999 dipendenti). Secondo un responsabile IT di una grande azienda con oltre 5.000 dipendenti la sfida maggiore è “poter fare affidamento su una strategia informatica pronta e reattiva”, mentre per un dirigente di un’azienda delle stesse dimensioni sono gli “attacchi malware, perché sempre più sofisticati e invasivi”. Mentre per il responsabile IT di una realtà con meno di 5.000 dipendenti la sfida è “avere competenze a sufficienza per fronteggiare questi problemi”.

Cosa teme il settore finanziario?

Le società bancarie e finanziarie, indipendentemente dalla dimensione, temono soprattutto perdite finanziarie ingenti per azienda e clienti (44%), o la frode, la manipolazione e l’uso improprio dei servizi (40%). L’impatto economico di multe o contenziosi normativi si colloca al terzo posto (32%). Il 57% degli intervistati concorda sul fatto che il crescente onere normativo possa aumentare il rischio di non conformità, con una percentuale leggermente superiore tra chi opera nel settore IT (62%) o nelle organizzazioni sotto i 1.000 dipendenti (61%). La preoccupazione maggiore per le istituzioni finanziarie con oltre 1.000 dipendenti è, invece, registrare perdite economiche considerevoli a causa di transazioni false (47%). Percentuale che si riduce al 39% tra le aziende più piccole (50-999 dipendenti), che temono anche di subire danni all’immagine per un’insufficiente conformità alla sicurezza delle informazioni.

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Analisi congiunturale dell’industria, dati positivi a Milano, Monza Brianza e Lodi

Sono positive le analisi congiunturali dell’industria relative al terzo trimestre del 2022 nell’area di Milano, Monza Brianza e Lodi. Gli indicatori segnalano un ottimo aumento congiunturale rispetto al secondo trimestre 2022 della produzione industriale e del fatturato milanese (+1,3% e +3,5% destagionalizzato). Lo rivela una recentissima analisi a cura del Servizio Studi della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

L’area milanese meglio del resto della Lombardia

Un altro aspetto particolarmente interessante è rappresentato dal fatto che la crescita è maggiore per il fatturato locale rispetto al dato lombardo (i due dati regionali sono rispettivamente +0,4% e +2,6% destagionalizzato). Per gli ordini interni la progressione congiunturale è ancora più marcata per l’industria milanese rispetto alla manifattura lombarda (rispettivamente +4,7% e +1,3% destagionalizzato), allo stesso modo degli ordini esteri per cui la performance milanese è migliore (+6,9% e +1,5% destagionalizzato). Passando all’analisi tendenziale, il terzo trimestre 2022 ha consentito all’area metropolitana milanese in un anno di crescere del 6,1% per la produzione, più del dato lombardo (+4,8% in un anno). Se si considera la crescita netta del fatturato, sempre raffrontata al terzo trimestre 2021, l’aumento è del 14,5% a livello locale e 13,5% a livello regionale. In relazione al portafoglio ordini, si registra un livello superiore a quello relativo al terzo trimestre 2021 (+10% in un anno), con performance migliore rispetto alla manifattura lombarda (+6,6%). I mercati esteri milanesi hanno ripreso la crescita in modo più incisivo (+12,3%) rispetto alla componente interna (+8,7%).

Monza e Brianza. prosegue la crescita congiunturale

Per il territorio di Monza e Brianza il  terzo trimestre 2022 fa registrare un aumento rispetto al secondo trimestre 2022 sia della produzione industriale (+1,7% destagionalizzato), sia del fatturato (+2% destagionalizzato), così come le commesse acquisite dai mercati interni (+1,6% destagionalizzato) ed esteri con +2,7%. La crescita tendenziale della capacità produttiva colloca i volumi prodotti a un livello superiore rispetto al terzo trimestre 2021 (+7,4%), superiore rispetto al dato lombardo (+4,8%). Nello stesso periodo, i dati della manifattura brianzola per fatturato (+12,5%) sono inferiori al dato lombardo (+13,5%). Sempre rispetto al terzo trimestre 2021, il portafoglio ordini del manifatturiero brianzolo evidenzia un incremento reale superiore a quanto registrato in Lombardia (rispettivamente +11,2% e +6,6%). 

Positivo il bilancio di Lodi

Anche a Lodi continua la crescita congiunturale nel terzo trimestre 2022 grazie a un aumento rispetto al secondo trimestre 2022 della produzione industriale (+0,3% destagionalizzato), accompagnato dalla crescita del fatturato (+0,4% destagionalizzato) e dalle commesse acquisite dai mercati interni (+7,8% destagionalizzato) mentre gli ordini esteri risultano in calo del -2,1%. Nel terzo trimestre 2022 rispetto all’anno precedente si verifica un trend di crescita per produzione, fatturato e ordini. Relativamente all’analisi tendenziale, raffrontato al terzo trimestre 2021, la crescita della produzione si attesta a +3,3%, performance peggiore rispetto al dato lombardo (+4,8%). In relazione al fatturato, nel confronto con il terzo trimestre 2021, il recupero si attesta a +11,5%, inferiore per intensità al dato regionale (+13,5%). Gli ordini crescono in un anno del 10,6% rispetto al 6,6% lombardo.

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La GenZ e il vino: il business si declina in chiave “young to young”

Secondo un sondaggio realizzato da Agivi, l’Associazione dei giovani imprenditori vinicoli italiani di Unione italiana vini, e condotto sul 65% degli associati, 8 giovani vinicoltori su 10 riscontrano la presenza della GenZ tra i clienti.
“Si tratta di un target di consumatori nuovo, ma fondamentale, un segmento di mercato di cruciale importanza per il futuro delle nostre aziende”, commenta la presidente Violante Gardini Cinelli Colombini.
La fascia di consumatori under 25 inizia infatti ad affacciarsi sul panorama enologico Made in Italy, e per loro il business del vino si declina in chiave ‘young to young’.

Come fidelizzare i consumatori under 25?

Anche se l’impatto dei rivenditori e-commerce viene considerato buono o elevato, per 7 giovani viticoltori su 10 (92%) non è sufficiente per fidelizzare questi consumatori. Tra le strategie da affiancare a quella digitale l’offerta di un’experience integrata e le visite in cantina sono al primo posto (49%), seguite dalla necessità di offrire un contatto personale (27%), e dall’utilizzo di forme di comunicazione e intrattenimento efficaci (14%). Secondo i produttori Tommaso e Alvise Canella, “Abbiamo davanti una generazione di multitasker, estremamente social e in costante overflow informativo, che pretende autenticità e attenzione, ma che si dimostra anche molto preoccupata e coinvolta in questioni sociali”.

La sostenibilità incide sull’acquisto 

Le variabili attinenti alla sostenibilità si rivelano in cima alla lista per i consumatori Z, seguite dalle pratiche in cantina e dal marketing. I due terzi dei soci Agivi riscontrano un buon (59%) o elevato (8%) grado di interesse per le tematiche green, che incidono molto (61%) o moltissimo (15%) sull’acquisto. Complessivamente, il livello stimato di preparazione di questi nuovi consumatori è sufficiente per il 52% dei soci, ma buono per solo un socio su quattro.
“La percezione è di un consumatore in evoluzione – aggiunge la vicepresidente Agivi, Marzia Varvaglione -: il 56% dei nostri associati si aspetta infatti un cambiamento nei trend di consumi. A questi si affianca un 36% di sostenitori di una crescita dei winelover tra la GenZ, con cui sarà determinante utilizzare un linguaggio colloquiale ed energico”.

Trovare il prodotto giusto per l’export giovane

Il packaging svolge un ruolo fondamentale nella conquista dei portafogli under 25, molto (46%) o moltissimo (49%) importante dalla quasi totalità degli intervistati. Tra gli altri driver di acquisto, anche la curiosità per blend, storia o geografia, ritenuta una spinta motivazionale per l’87% degli intervistati. Sul fronte export, per un giovane viticoltore su 2 gli importatori sembrano dedicare un buon livello di attenzione a intercettare i gusti della GenZ, mentre il 30% reputa la considerazione rivolta a questo segmento di mercato appena sufficiente. In particolare, trovare il giusto prodotto per i consumatori under 25 è molto interessante (77%) quando si parla di Stati Uniti, Giappone (64%), e Corea (61%).

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Discount, gli italiani premiano la formula: perchè?

Negli ultimi anni i discount hanno fatto breccia nel cuore degli italiani, tanto che oggi questo format di vendita registra crescite più consistenti rispetto ad altri canali più tradizionali. E chi pensa che la ragione del successo sia da ricercare unicamente nel prezzo più conveniente, fa un errore di valutazione. Ad apprezzare i discount oggi sono sia i target più evoluti sia gli appassionati di food, tanto che ormai rappresentano una quota significativa della clientela. Secondo i dati GfK Sinottica, infatti, negli ultimi anni la penetrazione di questo tipo di insegne è cresciuta presso tutti i target, ma in particolare presso le componenti più evolute ed elitarie della popolazione, per le quali il prezzo non è sicuramente il primo fattore nella scelta del punto vendita. Guardando invece alla segmentazione della popolazione basata sugli Stili Alimentari emerge una crescita della penetrazione dei Discount particolarmente accentuata presso i cluster più dinamici, curiosi e “metropolitani”. A scegliere sempre più spesso – rispetto al passato – di fare la spesa su questo canale sono infatti i Food Lover (4,2 milioni di italiani, un target prevalentemente femminile e moderno, con conoscenze e competenze elevate in cucina), i Food Player (4,4 milioni di italiani, un target giovane, evoluto e prevalentemente femminile che ama sperimentare in cucina, con un occhio alla linea e alla sostenibilità) e gli Urban Taster (8,8 milioni di italiani, un target più adulto, cittadino e con risorse elevate, che ama la sperimentazione e la convivialità).

Una penetrazione in crescita

Dalle nuove abitudini di acquisto post-pandemiche alla digitalizzazione, dall’attenzione alla sostenibilità alla crescita dell’inflazione: tanti sono i fattori che negli ultimi anni hanno modificato i comportamenti dei consumatori nella spesa del Largo Consumo. Secondo i dati GfK Consumer Panel questo cambiamento di contesto ha premiato il canale Online, i Drugstore e soprattutto i discount – mentre tutti gli altri canali hanno visto una contrazione negli ultimi due anni. La crescita dei discount è un fenomeno che interessa il nostro Paese già da qualche anno e che non si è arrestato neppure durante il periodo della pandemia. A luglio 2022 i discount hanno raggiunto una penetrazione dell’85,3% delle famiglie italiane.

Le ragioni del successo

Tante le ragioni che stanno dietro al successo crescente dei Discount: dall’apertura di tantissimi nuovi punti vendita agli investimenti in comunicazione, dalla promozionalità all’evoluzione dell’assortimento con l’inclusione di brand affermati ma anche di prodotti internazionali o di nicchia, difficili da trovare altrove. Sicuramente – rispetto a qualche anno fa – non è più solo il prezzo competitivo a caratterizzare l’offerta di queste insegne, ormai entrate nella quotidianità degli italiani.

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Lo smart working rivoluziona anche gli spazi di lavoro?

Il lavoro da remoto ha cambiato in profondità, e in pochissimo tempo, il modo di lavorare di milioni di italiani. E anche oggi, sebbene la situazione sanitaria sia tornata quasi alla normalità, sono ancora sono ancora 3,6 milioni i lavoratori da remoto. Certo, i numeri sono inferiori di circa 500 mila unità rispetto al 2021, ma per l’immediato futuro è previsto un cambio di rotta. Come afferma la ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, infatti, le previsioni parlano di un graduale aumento del lavoro da remoto nel corso del 2023, fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico. 

Risparmi per lavoratori e aziende 

Un altro dato interessante che emerge dal report, in tempi in cui le bollette energetiche stanno schizzando verso l’alto, è che lo smart working consente larghi margini di risparmio, da entrambe le parti. Secondo i calcoli dell’Osservatorio, un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno. Lo smart working consente una riduzione dei costi potenzialmente più significativa per le aziende: consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.

I nuovi spazi di lavoro

Proprio il tema degli spazi è uno dei nodi più “caldi” della questione smart working. L’esperienza forzata del lavoro lontano dall’ufficio e la volontà di favorire il rientro, anche se parziale, delle persone nelle sedi ha accresciuto nelle organizzazioni la consapevolezza di dover realizzare azioni sugli spazi di lavoro per creare ambienti che motivino e diano un senso al lavoro in ufficio, supportando in modo efficace le attività che più si prestano a essere svolte in questo contesto. Il 52% delle grandi imprese, il 30 % delle PMI e il 25% della PA ha già effettuato degli interventi di modifica degli ambienti o lo sta facendo in questi mesi. In prospettiva futura queste iniziative sono previste o in fase di valutazione nel 26% delle grandi imprese, nel 21% delle PA e nel 14% delle PMI. Il ripensamento degli spazi che sappia tener conto del diverso modo di lavorare delle persone rispetto al pre-pandemia è fondamentale per favorire il rientro in ufficio che, nel 68% delle grandi imprese e nel 45% delle PA, ha incontrato resistenze da parte delle persone. L’evoluzione futura dei modelli di smart working prevede sostanzialmente lo stesso numero di giorni da remoto di quelli attuali. Ma si prevedono nuovi modelli di workplace con “spazi identitari” e finalizzati a favorire la collaborazione e l’interazione con colleghi e stakeholder prima ancora che il lavoro individuale, oltre che da una maggiore diffusione e capillarità di sedi sul territorio anche con l’utilizzo di ambienti terzi come business center e spazi di coworking. 

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