Spiare con l’app, quando lo stalker approfitta della tecnologia

La tecnologia è ormai parte integrante delle violenze domestiche. Lo smartphone e il computer possono diventare mezzi per essere spiati, spesso anche dal proprio partner. Lo sottolinea un report del Citizen Lab dell’università di Toronto, intitolato Il predatore nella tua tasca. Secondo gli esperti canadesi lo stalking è legato ai software spia, o stalkerware, spesso vengono pubblicizzati per applicazioni “buone”, come il controllo dei figli o dei dipendenti. Il 98% dei colpevoli di violenza nei confronti del partner, inoltre, ha usato la tecnologia per intimidire o minacciare la vittima, e il 72% ha hackerato email e gli account social delle donne. Percentuali simili sono state trovate da altre ricerche in Australia e Usa.

Decine di app scaricabili dagli store

“Il fenomeno ha un’ampia diffusione anche da noi, e se per difendersi ci sono gli antivirus serve anche un cambiamento culturale – commenta Nicola Bernardi, direttore di Federprivacy, l’associazione che riunisce gli esperti del settore – bisogna infatti valutare attentamente le conseguenze di tutto ciò che si installa. Al giorno d’oggi tutto può diventare un mezzo per spiare – sottolinea ancora l’esperto – si pensi alle app per trovare la propria auto, o lo smartphone”. Esistono poi decine di app scaricabili semplicemente dagli store, ma chi ha dimestichezza con il deep web può trovarne di più sofisticate, riporta Ansa.

Chi mette a disposizione l’applicazione non è perseguibile

Insomma, il tempo di scaricare una normalissima app dallo store o di fare una veloce ricerca su Google ed è possibile sapere tutto quello che fa il proprio o la propria partner attraverso il suo telefonino. Quella che prima era una “cosa da spie”, sottolineano gli esperti del Citizen Lab dell’Università di Toronto, è ormai talmente comune che i stalkerware sono coinvolti nella quasi totalità dei casi di violenza domestica, riporta TiscaliNews.

Nella totalità dei casi però non si persegue chi ha messo a disposizione la app, spesso pubblicizzate come applicazioni utili, anche se in alcuni casi i riferimenti a “spose infedeli” o “partner che mentono” sono espliciti.

In ogni caso, una volta installate sul telefono della vittima non sono visibili se non attraverso un antivirus.

Cosa fare per difendersi

“Ci sono già sentenze della Cassazione che citano questo tipo di app – aggiunge Bernardi -. Spesso però i produttori sono su server esteri, oppure mettono un avviso nei termini di accettazione del servizio in cui chi installa la app si impegna a usarla solo per fini legali, e questo basta”.

Ma come fare per difendersi? Innanzitutto installare l’antivirus sul proprio smartphone, scegliendone uno affidabile e a pagamento. Dal punto di vista legale, invece, “la tendenza è sempre di più a considerare chi gestisce gli store come responsabile delle app presenti. Questo è probabilmente l’unico modo per intervenire – puntualizza Bernardi – anche se sono ancora diverse le difficoltà da superare”.