Federcontribuenti: la metà dei giovani italiani guadagna meno di 7 euro l’ora

Un’indagine condotta da Federcontribuenti ha rivelato che il 54% dei 30enni italiani guadagna meno di 7 euro netti all’ora. Inoltre, molti giovani lavorano come apprendisti o part-time, guadagnando solo 100-120 euro netti a settimana e spesso senza pagamenti extra per le ore di straordinario. La situazione è particolarmente preoccupante per la fascia d’età tra i 28 e i 35 anni, che rappresenta l’11% della popolazione italiana e dovrebbe essere una forza trainante per lo sviluppo economico e le pensioni future.

I contratti nazionali oggi non “funzionano”

Secondo Federcontribuenti, il problema è causato da contratti nazionali che sfruttano e maltrattano i lavoratori dipendenti, impedendo loro di ottenere stipendi adeguati e continuità lavorativa. L’indagine ha anche evidenziato un aumento dei contratti part-time e dei giovani che non possono permettersi di affittare una casa o di formare una famiglia. “inutile parlare di decrescita demografica – si legge nella nota dell’ associazione dei consumatori – per mettere su famiglia occorre un lavoro stabile e uno stipendio adeguato; i voucher sono uno strumento meschino che piega la dignità del lavoratore stesso”. E ancora”Laureati o meno, meritocrazia o meno in Italia, che ricordiamo è il Paese dell’ area Ue con gli stipendi più bassi, il lavoratore dipendente viene sfruttato e maltrattato da quegli stessi contratti nazionali voluti e sostenuti da chi proprio non riesce a fare il proprio dovere di politico e garante”.

La questione pensioni

Come sottolinea Federcontribuenti, il problema è anche in prospettiva e riguarda anche gli anni a venire, quelli della pensione. In merito agli estratti contributivi: “quando si fa un estratto contributivo il 60% di chi si presenta è condannato ad una pensione sociale misera come misero è il numero di chi si può permettere una pensione contributiva, solitamente impiegati statali”. 

Calano anche gli autonomi

Inoltre, l’associazione ha notato un aumento del numero di lavoratori autonomi in fallimento, in particolare nel nord-est, a causa di tagli sui costi del lavoro o del cuneo fiscale. Tutto questo mentre, di nuovo, tornano a crescere gli stipendi per tutti manager pubblici e privati che fanno utili o voti sulle vesti stracciate della popolazione”. Infine la proposta di Federcontribuenti: “uno stipendio minimo per legge; massimo 3 contratti Nazionali per 3 fasce di età; apprendistato massimo fino a 24 anni; riforma del sistema previdenziale: il costo supera la resa; zero costi fiscali sul dipendente”.

Federcontribuenti: la metà dei giovani italiani guadagna meno di 7 euro l’ora Leggi tutto »

Collezionismo: l’inflazione non spaventa gli appassionati

Lo conferma la ricerca commissionata da Catawiki a YouGov, dal titolo Il comportamento dei collezionisti in Europa: gli italiani appassionati di collezionismo, il 74% dei nostri connazionali, non sembrano temere l’aumento dei prezzi. Il 70% dichiara infatti che nel 2023 spenderà per la propria passione lo stesso budget, o anche di più. Non solo, il 44%, e addirittura il 57% tra i giovani della Gen Z, considera una collezione un buon investimento, comparabile ad altri metodi, come risparmi bancari o investimenti immobiliari. Insomma, se è vero che durante i periodi in cui l’inflazione è più alta i consumatori tendono a ridurre le spese, questo non vale per i collezionisti.

Generazioni a confronto: cosa spinge a iniziare una collezione?

Il 74% dei collezionisti afferma di possedere da una a tre collezioni, il 23% una, il 28% due, il 23% tre, e il 10% ne ha addirittura più di 5. Per gli italiani, il valore di un oggetto è determinato (48%) dal fatto che riflette la loro passione o perché ha un valore emotivo o sentimentale (36%). Se per tutti il driver principale è la passione, diverse sono le motivazioni che spingono le differenti generazioni a iniziarne una. Per Boomer e Gen X è l’influenza della famiglia, per i Millennials la cerchia di amici, mentre per i Gen Z giocano un ruolo importante celebrities/influencer e i social media.

Francobolli per i Boomer e memorabilia sportivi per la Genz Z

Si collezionano principalmente tre categorie di prodotti, monete e francobolli (22%), libri e fumetti (14%), giocattoli e modellini (10%). Quanto alle differenze generazionali, i Boomer preferiscono collezionare francobolli e orologi, i Millennials fumetti, mentre la Gen Z, più degli altri, predilige memorabilia sportivi e gioielli. Le ultime due generazioni condividono anche la passione per tutti gli oggetti relativi alla categoria ‘Intrattenimento, Carte e Giochi’. E alla domanda ‘Se avessi più soldi, cosa collezioneresti??, gli italiani non hanno dubbi: orologi (14%), gioielli o pietre preziose (11%), diamanti e libri (8%). Tra le categorie che non collezionerebbero mai, oggetti virtuali (24%) e NFT (23%).

Quanto vale una collezione?

Ogni collezione ha un valore diverso, ma in linea di massima le collezioni valgono circa 1000 euro. Per il 12%, però, tale valore è stimato tra i 5.000 e i 50.000 euro, e un 2% di collezioni vale oltre 50.000 euro. Ed è un valore che come ogni bene raro e unico tende a crescere nel corso del tempo. Il 45% ha visto infatti il valore aumentare negli ultimi anni. Di quanto? Tra il 25% e il 50% (34%), tra il 50 e il 100% (18%) e il 9% ha visto la propria collezione acquisire un valore più del doppio di quello iniziale. Le collezioni, riporta Adnkronos, oltre a essere un investimento che talvolta può generare anche buoni guadagni (per il 34% vendere oggetti delle collezioni è fonte di reddito o profitto), rende più o ugualmente dei risparmi bancari (50%), e per il 36% rende addirittura più degli investimenti immobiliari.

Collezionismo: l’inflazione non spaventa gli appassionati Leggi tutto »

Design economy: in Italia 15.986 imprese per un valore aggiunto di 2,94 miliardi

In Italia le imprese del design si distribuiscono su tutto il territorio nazionale, con una particolare concentrazione nelle aree di specializzazione del Made in Italy. Il 60% delle aziende si localizza nelle regioni Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto.  A quanto emerge dai dati del report condotto da Design Economy 2023 di Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.designm, l’industria italiana del design conta 36 mila operatori, 20.320 liberi professionisti e lavoratori autonomi, e 15.986 imprese. Che nel 2021 hanno generato un valore aggiunto pari a 2,94 miliardi di euro, e hanno impiegato 63 mila occupati.

Un’infrastruttura immateriale del Made in Italy

Tra le province del design primeggiano Milano, con il 14,3% delle imprese e il 18,4% di valore aggiunto nazionale, Roma (6,6% e 5,3%), e Torino (5,1% e 13,3%). Una quota pari al 32,8% di imprese opera all’estero, il 24,2% in territori extra EU, il 44,8% su scala nazionale, mentre il 22,4% opera su scala locale.
“La leadership italiana nel design conferma il suo ruolo importante come infrastruttura immateriale del Made in Italy e protagonista nella sfida della sostenibilità”, ha commentato Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola.

Sostenibilità, un tema rilevante per il settore

“Nel pieno di una transizione verde e digitale, il design è chiamato nuovamente a dare forma, senso e bellezza al futuro – ha aggiunto Ermete Realacci -. Molti aspetti della nostra vita, così come molti settori, mutano: dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera”.
Il tema della sostenibilità emerge infatti come rilevante per il settore. L’87,4% degli intervistati ne sottolinea l’importanza nei progetti in corso, quota che arriva al 96,5% nel caso delle piccole e medie imprese.

Italia protagonista del nuovo Bauhaus europeo

“I prodotti, in un contesto di risorse scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, riutilizzabili – ha sottolineato Realacci, come riferisce Askanews -. Il rapporto tra design e sostenibilità è alla base del nuovo Bauhaus europeo lanciato dalla presidente Von der Leyen per contribuire alla realizzazione del Green Deal europeo. Anche per questo l’Italia ne è una naturale protagonista. Perché, come scritto nel Manifesto di Assisi, affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario, ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”.

Design economy: in Italia 15.986 imprese per un valore aggiunto di 2,94 miliardi Leggi tutto »

L’Ai entra in azienda: è il futuro della robotica (e non solo)

Qual è il futuro della robotica? La risposta non può che essere l’Intelligenza artificiale. O meglio, l’AI con l’utilizzo dell’Ai no-code a supporto delle decisioni di business. L’interazione dell’Artifical Intelligence generativa con altre tecnologie, come la realtà aumentata e la computer vision, è un altro trend emergente nel mercato dell’IA. A dirlo è Vedrai, esperto in Intelligenza Artificiale. 

Dalla fantascienza alla realtà presente

In passato, spiegare alle aziende italiane l’AI sembrava fantascienza. Le cose sono cambiate completamente e velocemente. Ora il terreno è fertile e le imprese stesse richiedono soluzioni che utilizzano l’AI per rispondere ai loro bisogni. Nel 2023, la spesa di governi e imprese per l’AI supererà i 500 miliardi di dollari, come previsto dal Worldwide Semiannual Artificial Intelligence Tracker. 

Oltre la metà delle aziende globali investe in intelligenza artificiale

In virtù dei cambiamenti che stiamo vivendo, il 51% delle aziende in tutto il mondo sta già investendo in AI, come confermato dal Top 10 Global Consumer Trends 2023. 
L’interesse nei confronti dell’Intelligenza Artificiale, quindi, non si arresta e “interrogarsi sui suoi sviluppi futuri è oggi materia di interesse non più solo per il mondo tecnologico e accademico ma per tutto il comparto economico, in ottica di intercettare nuovi trend e possibili ambiti di investimento” sottolineano gli analisti del gruppo Vedrai specializzato in soluzioni di Intelligenza Artificiale che rivoluzionano il modo in cui imprenditori e manager prendono decisioni in condizioni di incertezza e che studia i mercati emergenti per alimentare la sua strategia di crescita accelerata grazie ad acquisizioni.

I settori che saranno protagonisti del mercato 

“Per Vedrai – afferma Diego Maccarelli, Head of Corporate Finance di Vedrai – identificare i settori che saranno protagonisti del mercato nei prossimi anni è quindi una necessità sia per crescere come Gruppo, sia per stimolare l’innovazione a livello di ecosistema”. La società identifica i settori che saranno protagonisti del mercato nei prossimi anni per stimolare l’innovazione a livello di ecosistema e creare sinergie utili all’ecosistema tecnologico italiano ed europeo. Nonostante le difficoltà del contesto italiano per le startup, Vedrai crede nelle competenze dei talenti locali e nella possibilità di valorizzarli in Italia. La crescita costante del comparto AI è confermata dalle aziende italiane dotate di sempre maggiori competenze e di uno sguardo rivolto ai trend internazionali.

L’Ai entra in azienda: è il futuro della robotica (e non solo) Leggi tutto »

Italiani, al viaggio non si rinuncia ma c’è maggiore attenzione al rapporto qualità/prezzo

Una recente ricerca di BVA Doxa per BWH Hotel Group Italia ha rivelato che, nonostante l’aumento dell’inflazione, gli italiani non rinunciano a viaggiare e cercano invece modalità alternative per spostarsi e soggiornare. L’indagine ha coinvolto 2007 intervistati di età e target diversi: General Population (1203 interviste), Leisure Travellers (408 interviste) e Business Travellers (396 interviste). Secondo la ricerca, il brand Best Western si conferma ai vertici del ranking dei brand di hotellerie per notorietà globale e “awareness top of mind”. In particolare, il brand risulta molto noto tra i Business Travellers.

Il budget è rimasto invariato rispetto l’anno scorso 

L’indagine ha rivelato che il budget dedicato ai viaggi è rimasto invariato rispetto all’anno precedente per il 38% della General Population e il 42% dei Leisure Travellers, mentre è aumentato rispettivamente per il 23% e 28% degli intervistati. Tuttavia, l’aumento dell’inflazione sta influenzando le abitudini di viaggio e soggiorno, portando i viaggiatori a preferire spostamenti in bassa stagione o riducendo le notti di viaggio (38% General Population e 34% Leisure Travellers). Nonostante questo, la maggioranza degli intervistati non rinuncia ai viaggi, ma cerca piuttosto modalità alternative per spostarsi e soggiornare.

Perchè e quanto si viaggia per lavoro

Per quanto riguarda i Business Travellers, il 32% ha confermato una riduzione delle trasferte rispetto al 2019, ma il 20% ha invece dichiarato di averle incrementate. Gli eventi e i convegni rappresentano la causa maggiore di spostamento (43%) seguiti dalle visite ai clienti e partner (36%), la formazione (33%) o la trasferta presso altra sede (29%). È aumentato il dato riferito al bleisure: il 55% dei Business travellers dichiara di aver esteso il soggiorno per svago e tempo libero nelle ultime trasferte.

Il rapporto qualità/prezzo è la leva strategica per tutte le tipologie

In generale, il buon rapporto qualità/prezzo è il principale driver di scelta, confermato dal 62% della General Population, dal 67% dei Leisure Travellers e dal 53% dei Business Travellers, che concordano anche sull’importanza della pulizia nelle strutture e il rispetto delle norme sanitarie. Per i Business travellers l’affidabilità del brand è citata dal 19%. Gli intervistati di tutte le categorie sono attenti alla posizione dell’hotel, alla colazione, al parcheggio e alla pulizia.

L’inflazione non frena le partenze

In conclusione, la ricerca di BVA Doxa rivela che gli italiani non rinunciano a viaggiare nonostante l’aumento dell’inflazione. Inoltre, i viaggiatori cercano modalità alternative per spostarsi e soggiornare, ma non rinunciano alla qualità e alla pulizia delle strutture. Best Western si conferma ai vertici del ranking dei brand di hotellerie per notorietà globale e “awareness top of mind”, in particolare tra i Business Travellers.

Italiani, al viaggio non si rinuncia ma c’è maggiore attenzione al rapporto qualità/prezzo Leggi tutto »

Direttiva Ue sulle case green: cosa ne pensano gli italiani?

L’approvazione della direttiva europea sulle case green sta sollevando preoccupazioni tra gli italiani. Lo rivela una recente indagine commissionata da Facile.it agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat. In base alle risposte ottenute, si scopre che più della metà dei nostri connazionali non conosce la classe energetica della propria casa e addirittura 1,2 milioni di persone non sanno nemmeno cosa significhi questo termine. Questi dati sono preoccupanti, considerando che la nuova direttiva europea obbligherà milioni di italiani a ristrutturare le proprie abitazioni per soddisfare i criteri di sostenibilità previsti dall’Ue.

Adeguarsi sì o no?

Solo il 20% dei rispondenti ha dichiarato di essere disposto ad adeguarsi alla nuova direttiva, mettendo c’è in campo i lavori necessari per passare a una classe energetica migliore. Molto più alto il numero degli italiani che invece “nicchia” di fronte a questa possibilità. Quasi 15 milioni di persone hanno detto che lo faranno solo se riceveranno aiuti economici dallo Stato. Si tratta di un dato che non deve essere sottovalutato, soprattutto alla luce delle problematiche emerse con l’ex superbonus 110%, che ha coinvolto una platea di proprietari ben inferiore rispetto a quella che sarà toccata dalla nuova direttiva europea. Quasi 2 milioni di italiani (4,6%) hanno dichiarato di essere disposti a sfidare la legge e ad adeguarsi solo se vengono scoperti, in fase di controlli. 

Piuttosto si vende e si va in affitto

Poco meno di 1 milione di proprietari sono disposti a vendere la propria casa e andare a vivere in affitto pur di evitare la spesa della ristrutturazione. Questi dati dimostrano che è necessario un intervento dello Stato per garantire che i cittadini possano adeguarsi alla nuova direttiva senza subire un eccessivo onere economico. Inoltre, è importante aumentare la consapevolezza tra gli italiani sui temi della sostenibilità energetica e della classe energetica degli edifici, per incoraggiare la trasformazione del parco immobiliare italiano in uno più efficiente e sostenibile.

Un futuro ancora incerto 

Insomma, lo scenario è ancora poco delineato. Quello che è certo è che gli italiani, al momento, per la maggior parte non sono disposti ad affrontare lavori così pesanti sotto il profilo economico. Solo un nostro connazionale su 5, infatti, al momento ha detto di essere disposto ad adeguarsi. Che l’Europa debba aspettare?

Direttiva Ue sulle case green: cosa ne pensano gli italiani? Leggi tutto »

Smartwatch: quali sono le caratteristiche che guidano la scelta d’acquisto?

Secondo lo Smartwatch Market Insight Report di Huawei in media occorrono circa tre settimane per scegliere lo smartwatch ‘giusto’. Un dato che prescinde dalla fascia di prezzo, poiché il costo è solo uno degli aspetti da valutare. Lo smartwatch è divenuto ormai un ‘must’ tra gli accessori high-tech. Non stupisce quindi come le ricerche per individuare quello più adatto alle esigenze personali siano spesso lunghe e laboriose. Ma dove, e come, cercare questo dispositivo indossabile simile a un normale orologio da polso ma con tante funzionalità in più? Oltre al classico ‘passaparola’ gli utenti si rivolgono ai portali specializzati, come Recensioniorologi.it, dove possono reperire schede e recensioni ricche di informazioni utili a individuare i migliori smartwatch sul mercato per prezzo, funzionalità e prestazioni. 

Aggiornamento tecnologico e facilità di utilizzo

Sulla base del Report di Huawei il costo sembra essere un fattore secondario, sia per i cosiddetti ‘power user’ sia per l’acquirente medio, interessato anche ad aspetti secondari come vestibilità, design o l’appeal del brand. Le caratteristiche che sembrano interessare maggiormente i potenziali acquirenti sono l’aggiornamento tecnologico e la facilità di utilizzo. I futuri utilizzatori tendono infatti ad accertarsi che il dispositivo sia equipaggiato con un software recente, meglio se compatibile con il sistema operativo del proprio smartphone. Non meno importante è la qualità costruttiva. In genere riscuotono maggior successo i prodotti di qualità, solidi e resistenti. Non a caso, il 67% degli intervistati menziona la resistenza all’acqua come una delle caratteristiche imprescindibili.

Design e vestibilità

Le prerogative tecnologiche e costruttive di uno smartwatch fanno il paio con preferenze di carattere strettamente personale. Pertanto, è difficile circoscrivere un range di prodotti ‘ideali’, dal momento che molte caratteristiche di ciascun device possono intercettare il gusto di una nicchia più o meno ampia di pubblico. Da questo punto di vista, forma e dimensioni del quadrante, design e vestibilità del cinturino sono discriminanti tutt’altro che secondarie. Il 55% dei possessori di smartwatch di fascia alta (valore di mercato superiore ai 250 euro) dichiara infatti di avere a disposizione cinturini di ricambio da scegliere in base al contesto di utilizzo, mentre il restante 45% cambia il cinturino solo quando si rompe.

Quadrante, watchface e funzionalità

Per quanto riguarda il quadrante grande attenzione viene rivolta al design, non solo in termini di forma e dimensioni, ma anche in relazione alla watchface. La tendenza a cambiarla con regolarità risulta maggiore tra i possessori di device di fascia alta (prezzo superiore ai 200 euro) rispetto a quelli che utilizzano modelli più economici. Inoltre, rientrano tra i parametri di scelta anche le funzionalità. Una buona percentuale di utenti non va molto oltre quelle base, come connettività con smartphone e monitoraggio delle funzioni fisiologiche durante l’attività sportiva. Ma in fase di scelta le funzionalità rappresentano un fattore spesso decisivo per l’acquisto di un prodotto al posto di un altro.

Smartwatch: quali sono le caratteristiche che guidano la scelta d’acquisto? Leggi tutto »

Lombardia, nel 2022 la bolletta del gas a 1.639 euro

Che il 2022 sia stato l’anno della stangata per quanto riguarda i consumi domestici non è una novità. Ma quanto hanno speso in più i lombardi a seguito dell’aumento del gas e dell’elettricità? A questa domanda risponde un ‘analisi di Facile.it, e i conti sono davvero impressionanti. A parità di consumi, secondo l’analisi, le famiglie residenti in Lombardia con contratto di fornitura nel mercato tutelato, nel 2022 hanno speso per la sola bolletta elettrica 1.375 euro, vale a dire il 108% in più rispetto al 2021, e 1.639 euro per il gas (+57%). Complessivamente, quindi, tra luce e gas, nel 2022 gli abitanti della Lombardia hanno sborsato, mediamente, 3.014 euro a famiglia (rispetto ai 1.703 euro del 2021). Per quanto riguarda la fornitura di gas, la Lombardia si conferma la terza regione italiana più “tartassata” alle spalle di Trentino-Alto Adige ed Emilia Romagna.

Ottimismo per l’anno in corso

“Con il nuovo anno abbiamo assistito a buoni segnali sia per il costo dell’energia elettrica che per il gas” spiega Mario Rasimelli, Managing Director Utilities di Facile.it. “Non bisogna, però, abbassare la guardia ed è bene continuare a monitorare i propri consumi e controllare periodicamente le offerte presenti sul mercato così da identificare eventuali possibilità di risparmio”.

Le province che hanno pagato di più l’energia elettrica

Per quanto riguarda l’energia elettrica ed analizzando i dati su base provinciale, al primo posto si posiziona Mantova, area dove il consumo medio a famiglia rilevato nel 2022 è stato pari a 3.352 kWh che, considerando le tariffe dello scorso anno in regime di tutela, corrisponde ad un costo di 1.633 euro; seguono Cremona (1.543 euro, 3.166 kWh), Brescia (1.520 euro, 3.119 kWh) e Lodi, provincia dove sono stati messi a budget, mediamente, 1.475 euro per un consumo medio rilevato di 3.028 kWh. Più in basso nella graduatoria ci sono Pavia (1.458 euro, 2.993 kWh), Como (1.438 euro, 2.952 kWh), Varese (1.433 euro, 2.942 kWh) e Bergamo (1.382 euro, 2.836 kWh). Valori inferiori alla media regionale per Monza e Brianza, dove il costo della bolletta elettrica è stato di 1.362 euro (2.796 kWh), Lecco (1.344 euro, 2.759 kWh) e Sondrio (1.280 euro, 2.627 kWh) Chiude la classifica Milano che, nel 2022, ha rilevato i consumi più bassi della regione (2.598 kWh) e quindi la bolletta più “leggera” (1.266 euro).

E quelle con la bolletta del gas più pesante

Al primo posto tra le province più care della Lombardia si posiziona Como, dove il consumo medio a famiglia di gas è stato di 1.510 smc per un costo complessivo di 1.931 euro. Seguono Lecco (1.908 euro, 1.492 smc), Varese (1.900 euro, 1.486 smc) e Pavia (1.862 euro, 1.456 smc). Continuando a scorrere la classifica regionale troviamo Mantova (1.833 euro, 1.433 kWh), Cremona (1.719 euro, 1.344 kWh) e Lodi (1.661 euro, 1.299 kWh). Valori inferiori alla media lombarda per Monza e Brianza (1.634 euro, 1.278 smc), Brescia (1.588 euro, 1.242 smc) e Sondrio, 1.576 euro (1.232 smc). Chiudono la classifica Bergamo (1.549 euro, 1.211 smc) e, ancora una volta, Milano, dove sono stati messi a budget per il gas 1.444 euro (1.129 smc).

Lombardia, nel 2022 la bolletta del gas a 1.639 euro Leggi tutto »

Il conto corrente costa troppo: 4 italiani su 10 cambiano banca

Tra le voci di costo che pesano sulle tasche degli italiani c’è anche quella relativa al conto corrente. Proprio così: anche per depositare i propri soldi in banca occorre preventivare una spesa maggiore rispetto l’anno scorso. In base a una recentissima analisi di Facile.it, realizzata sull’Indicatore dei Costi Complessivi (ICC) dei conti offerti da sei primari istituti bancari, rispetto al 2022 i prezzi sono aumentati tra l’8% e il 26%, con costi compresi fra i 28 e i 154 euro annui. Non è poco.

Allora si trasloca

E’ questa la ragione che ha spinto moltissimi italiani a cambiare istituto di credito. Il dato è confermato dall’indagine che Facile.it ha commissionato agli istituti mUp Research e Norstat da cui è emerso che, nell’ultimo anno, il 15,1% dei correntisti, pari a 5,6 milioni di individui, ha detto di aver cambiato conto corrente e, tra questi, 4,4 milioni hanno dichiarato di averlo fatto a causa dell’eccessivo costo. 

Le ragioni del cambiamento

Guardando più nello specifico alle motivazioni che hanno spinto gli italiani a cambiare conto corrente emerge che il 53,2% lo ha fatto perché giudicava troppo alto il canone annuo base (si arriva fino al 59,1% nella fascia 25-34 anni ed al 56,3% al Sud e nelle Isole); il 31,5% perché riteneva eccessivo il costo delle singole operazioni (41,4% nella fascia 35-44 anni e 34,9% al Sud e nelle Isole) ed il 25% perché i costi (fissi o variabili) avevano subito aumenti eccessivi nel corso dell’anno.
Altra ragione di cambiamento è stata la qualità del servizio: il 21,6% ha dichiarato di aver lasciato il proprio conto perché il servizio offerto non era all’altezza, l’11,1% non riteneva valido l’home banking, mentre il 9,7% ha cambiato perché il conto non era dotato di funzionalità digitali.

Cambio conto: attenzione agli addebiti

La portabilità, vale a dire la possibilità di trasferire i servizi di pagamento dal proprio conto a quello di un altro istituto di credito, è un diritto normato dalla legge; il passaggio è gratuito e prevede una procedura semplificata che deve essere completata dalla banca entro 12 giorni lavorativi dalla sottoscrizione della richiesta e, in caso di ritardo, è prevista una penale a carico dell’istituto di credito. Eppure, come emerso dall’indagine commissionata da Facile.it, i contrattempi non mancano; tra coloro che al momento del cambio avevano spese domiciliate su conto vecchio quasi il 34% (pari ad oltre 1,5 milioni di individui) ha avuto problemi nel trasferire le domiciliazioni su quello nuovo.
La percentuale cresce in maniera davvero importante se si isola il solo campione del Meridione; nel Sud e Isole il 33,7% nazionale diventa addirittura il 44,9%, praticamente quasi un titolare su due.

Il conto corrente costa troppo: 4 italiani su 10 cambiano banca Leggi tutto »

Nel 2022 creati 412mila posti di lavoro a tempo indeterminato 

Notizie positive sul fronte dell’occupazione. Il 2022 si chiude con un saldo positivo tra assunzioni e cessazioni (382mila unità), sebbene inferiore a quello del 2021 (602mila). Si tratta comunque di un risultato soddisfacente, se confrontato con il dato del 2019 (308mila), prima cioè dell’emergenza sanitaria. Questi dati sono contenuti nella nota congiunta di gennaio sul mercato del lavoro, a cura di Ministero del lavoro, Banca d’Italia e Anpal.

Stabile l’incremento della domanda di lavoro

L’incremento della domanda di lavoro è rimasto sostenuto fino all’inizio dell’estate, trainato soprattutto dal turismo, per poi rallentare a causa soprattutto dell’indebolimento del settore delle costruzioni. Nella manifattura le attivazioni nette sono state superiori a quelle del 2021: in questo settore la creazione dei posti di lavoro è proseguita a tassi sostanzialmente costanti anche negli ultimi due mesi dell’anno, nonostante il rallentamento nei comparti a maggiore intensità energetica.
Nel complesso è da segnalare il saldo positivo dei rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato sottoscritti nel 2022 (+412mila), che ha beneficiato del gran numero di trasformazioni determinate dal consolidamento della ripresa nella prima parte dell’anno, mentre è sostanzialmente stabile il saldo dei rapporti a termine (+23 mila) ed è diminuito il ricorso all’apprendistato (-53mila).

L’occupazione femminile cresce a ritmi minori

In un contesto tutto sommato positivo, ci sono però delle note dissonanti. In particolare quella riferita all’occupazione delle donne. Nel 2022 la crescita dell’occupazione femminile è stata inferiore a quella maschile: i saldi sono stati rispettivamente +152mila e +230mila unità. A dicembre l’incremento dell’occupazione femminile si è sostanzialmente arrestato.

Si conferma il divario fra Nord e Sud
Il diivario territoriale nord-sud non solo si conferma, ma addirittura si acutizza. Nel 2022 la crescita delle attivazioni nette si è concentrata nel centro-nord (+302mila) a un tasso ben più alto rispetto all’anno precedente: nel 2021 questo era infatti pari a circa il 68%, mentre nel 2022 è salito al 79%. Nelle regioni meridionali la fase espansiva si è interrotta una volta esaurita la spinta del comparto edile, che aveva contribuito alla crescita occupazionale del 2022 per circa il 30%. È proseguita anche nel 2022 (il dato è aggiornato a novembre) la diminuzione della disoccupazione, ma il trend ha subito un importante rallentamento: si è passati da -350 mila del 2021 a -120 mila del 2022.

Nel 2022 creati 412mila posti di lavoro a tempo indeterminato  Leggi tutto »